Il complesso dei beni rimasti di proprietà collettiva o gravati tuttora da usi civici ammonta ad alcuni milioni di ettari
Già all’epoca romana uno dei temi sociali più importanti e irrisolto era l’immenso patrimonio immobiliare del populus romanus, usurpato dalla classe dominante, e di cui i tribuni della plebe periodicamente richiedevano una distribuzione ai plebei o comunque di sottrarli ai patrizi e ai cavalieri che li avevano usurpati.
La stessa società feudale medioevale aveva concesso ai servi della gleba l’utilizzo sia pure in forma marginale delle terre con una serie di possibilità di fruire di alcuni utilizzi: pascolo, legnatico, spigolatura. Molte volte gli usi civici, oltre che sulle terre demaniali, gravavano sui beni ecclesiastici
La donazione di terre ai conventi e alle diocesi era spesso accompagnata dalla costituzione di usi civici a favore della popolazione locale.
In altri casi, i beni stessi erano concessi in enfiteusi alla popolazione locale. Il dominio eminente era del monastero, ma il dominio utile era dei cittadini, riuniti in una partecipanza.
Fu la rivoluzione francese a far affermare la decadenza di tutto questo complesso sistema, per favorire la piena proprietà privata.
Spingeva in questa direzione la necessità di aumentare le produzioni agrarie sotto la spinta dell’aumento della produzione e si era sentito, in tutti i settori, che il sistema ereditato dal vecchio regime presentava sacche di inefficienza e di immobilismo agrario.